martedì, Maggio 14

Basta un banchiere qualunque a muovere i mercati

I mercati USA, dopo la tranquillità mostrata per tutta l’estate, sono entrati in una fase di fibrillazione che rivela l’assoluta dipendenza dalle mosse della FED. A contare sembra essere solo quel che faranno Yellen e soci del FOMC nella riunione che si concluderà tra una settimana esatta.

Al punto che, dopo lo spavento subito venerdì dai toni da super-falco di Rosengreen (uno spavento abbastanza assurdo, dato che Rosengreen è noto per essere il falco più agguerrito in seno al FOMC), che ha mandato al tappeto tutto il rialzo estivo, ieri è bastato l’intervento rassicurante di un certo Brainard, semi-sconosciuto membro del FOMC tra gli ultimi arrivati, che è una tra le colombe più affettuose con i mercati in seno al Consiglio della FED, per provocare il recupero di circa due terzi del ribasso di venerdì.

Anche quel che ha detto Brainard era ampiamente prevedibile, ma quando i mercati si mettono in testa che dall’esito della prossima riunione FED dipende il loro destino, ogni stormir di fronda basta a suscitare entusiasmo o spavento. Dipende da che parte soffia quel momentaneo venticello.

In queste condizioni ogni tentativo di analisi diventa un colabrodo, incapace di fornire un aiuto interpretativo. Forse sarebbe necessaria qualche seduta di psicanalisi di massa per riportare gli operatori a guardare i fondamentali più che seguire le ultime parole pronunciate da chicchessia tra i membri votanti della FED.

Questo dominio della volatilità, che, una volta risvegliata, raramente poi torna a dormire rapidamente, è destinato a durare ancora un po’, anche se, fortunatamente, è scattato oggi il periodo di silenzio prima della riunione FOMC per i membri votanti, e non avremo più manipolazioni dei mercati ad opera delle loro dichiarazioni.

Traggo comunque una sensazione di divisione profonda all’interno del Consiglio FED, che a mio parere impedirà una mossa sui tassi il 21 settembre, ma la renderà quasi obbligata a dicembre, proprio per non smentire del tutto la politica iniziata a fine 2015, che prevedeva un ritorno alla normalità monetaria assai più rapido di quel che in realtà è avvenuto. Infatti allora la FED dichiarò che quest’anno avrebbe probabilmente effettuato ben 4 mosse al rialzo dei tassi, portandoli a 1,50%.

Ma le cose non sono andate secondo le previsioni e il rallentamento evidente della crescita USA nella prima parte dell’anno ci fa ancora attendere il primo rialzo del 2016.

Se non avvenisse entro fine anno sarebbe una implicita dichiarazione di fallimento della politica monetaria americana e la credibilità della FED, che le divisioni già indeboliscono, verrebbe messa duramente a repentaglio.

Resto pertanto dell’idea che la strada sia segnata, al di là degli alti e bassi che i prossimi giorni potranno portare sull’umore di giornata dei mercati.

La volatilità la farà da padrona fino alla prossima settimana. Una decisione FED a favore dell’ennesimo rinvio del rialzo potrebbe addirittura spingere nuovamente i mercati sui massimi, annullando il segnale di terrore giunto venerdì. Ma poi si dovrà necessariamente fare i conti con il rialzo di dicembre, passando per le incertezze sulle elezioni USA, che la salute precaria di Hillary Clinton rendono ancora più caotiche.

Già. La volatilità è tornata e sarà difficile rimandarla a nanna.

Pierluigi Gerbino www.borsaprof.it